Quel prodigio di Harriet Hume (Italian Edition) by Rebecca West

Quel prodigio di Harriet Hume (Italian Edition) by Rebecca West

autore:Rebecca West [West, Rebecca]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2020-11-11T22:00:00+00:00


Capitolo IV

Rampound aveva fatto ancora peggio di così. Se non l’avesse fatto! Aveva ottenuto per lo spregevole George Filiaepandarus il rango di baronetto per aiutarlo a gabbare i sempliciotti d’Inghilterra con prospetti informativi che promettevano un grande quantitativo d’oro a chi avesse investito denaro in imprese come la London Hills Exploitation Company Ltd (che aveva tra i suoi scopi di inviare a Covent Garden le primule di Primrose Hill e la lavanda di Lavender Hill, e di smerciare ai cuochi e ai farmacisti lo zafferano ricavato dai crochi di Saffron Hill, e come questione secondaria il taglio delle sequoie rosse di Westbourne Grove). «Per servizi resi durante la Grande Guerra», si legge sulla patente di nobiltà, e si era discusso in tutti i modi alla Camera dei Comuni sulla corretta interpretazione di quella frase; ed era stato affermato (e lo Speaker, che tutti sanno essere imparziale, aveva soffocato qualsiasi tentativo di umorismo spinto) che ciò che l’Inghilterra doveva a Sir George per contra era quella lungimiranza che lo aveva indotto, nei primi anni della guerra, a insistere, nonostante i regolamenti edili stabiliti dal Defence of the Realm Act9, su quelle serre per orchidee che successivamente gli Zeppelin scambiarono per il Crystal Palace. Ma «Quarantamila sterline», avevano detto i lobbisti, «Quarantamila sterline», aveva detto Fleet Street, «Quarantamila sterline», aveva detto la City, e (con buona probabilità) «Quarantamila sterline», aveva detto Dio, che aveva tenuto d’occhio quella faccenda dall’inizio alla fine. Oh, Rampound aveva fatto ben peggio di così, ed era ancora ammirato, il popolare Rampound, adulato dai grandi e dalle persone comuni.

Adulato da persone più importanti di quelle che si mostrarono cordiali con Arnold Condorex. C’era un’atmosfera fosca nella sala da pranzo, quella sera. In parte scaturiva dalla stanza stessa, da quella dannata stanza. Era strano pensare che quella casa un tempo lo rasserenasse con la sua bellezza, invece di irritarlo come il palcoscenico grazioso di una commedia mediocre. Aveva un aspetto davvero tetro nella mezza luce che lui aveva acceso quando, per poter riflettere sulla proposta di Scorchington senza troppo chiarore intorno, aveva spento tutti i lampadari tranne l’urna di alabastro sul caminetto. Le colonne scanalate, con i solchi neri per l’oscurità, parevano strisce lasciate da artigli lungo il muro, e i capitelli con le loro volute d’oro potevano sembrare gli artigli che le avevano tracciate. Le lunette dipinte sui pannelli al muro e sul soffitto erano macchie nere d’unto sulle quali si distingueva solo la luce dei dettagli candidi di un universo contraffatto senza troppa convinzione, colli di cigno piegati da una dolcezza angelica a formare curve rientranti, profili così rigidi per la rispettabilità che il respiro doveva uscire dalle narici come il suono del fischietto di un poliziotto, avambracci fiacchi come pinne. Come sempre, quando la stanza non era completamente illuminata, c’era un’ombra che si stendeva su un angolo del divano di damasco dorato nell’alcova scavata nel muro che prendeva la forma di una donna, stesa sui cuscini nella posa di Madame Récamier nel suo ritratto. Oh, avrebbe voluto vendere quel posto e andarsene.



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